Cardiomiopatia ipertrofica
La cardiomiopatia ipertrofica è una malattia del muscolo cardiaco caratterizzata da un aumento dello spessore delle pareti del ventricolo sinistro ( ipertrofia ventricolare sinistra ), non-secondario a ipertensione arteriosa, a malattie delle valvole cardiache o ad altre cause sistemiche che possano generare ipertrofia ventricolare sinistra.
Nell’adulto, la diagnosi di cardiomiopatia ipertrofica viene posta mediante esame ecocardiografico o risonanza magnetica, quando si osserva uno spessore di parete del ventricolo sinistro superiore a 15mm in uno o più segmenti del ventricolo sinistro ( con maggiore frequenza nel setto interventricolare, più raramente a livello apicale o diffusamente in tutte le pareti ).
La prevalenza della cardiomiopatia ipertrofica nella popolazione adulta, valutata in diverse aree geografiche e differenti popolazioni, è di circa il 2 per mille: quindi, la cardiomiopatia ipertrofica non è considerata una malattia rara.
Nella maggioranza dei pazienti lo sviluppo dell’ipertrofia è causato da una o più mutazioni genetiche in geni diversi: con le tecniche attuali, esse possono essere identificate in circa il 60% dei casi familiari.
In circa il 5% dei casi familiari sono identificabili due mutazioni nello stesso gene o in due geni diversi di cui possono essere portatori il padre ( una mutazione ) e la madre ( una seconda mutazione ), mentre in circa l’1% dei casi possono essere identificate addirittura 3 mutazioni.
Nelle famiglie la modalità di trasmissione è di solito autosomica dominante. Questo significa che nella maggioranza dei casi la malattia si trasmette da genitore a figlio/a con una probabilità del 50%.
Tuttavia, in alcune famiglie è possibile che il genitore o il figlio non presentino un’espressione clinica evidente della malattia, cioè uno spessore di parete superiore a 15 mm. Questo fenomeno è definito penetranza incompleta e significa che non sempre la patologia si manifesta in tutti i pazienti portatori del difetto genetico.
Lo sviluppo dell’ipertrofia avviene solitamente nell’adolescenza o in età adulta, nelle femmine più tardivamente, fino alla sesta o settima decade, mentre solo una minoranza dei pazienti presenta ipertrofia ipertrofia già alla nascita o in età pediatrica.
Inizialmente, la cardiomiopatia ipertrofica è spesso asintomatica, oppure i sintomi possono essere mal interpretati dal paziente. In questi casi, la diagnosi viene posta durante controlli eseguiti per altri motivi, come ad esempio in occasione di una visita medico sportiva.
I sintomi più comuni, quando presenti, sono: palpitazioni, dispnea ( mancanza di fiato ) durante lo sforzo, dolore toracico a riposo o da sforzo, sincope ( svenimento improvviso ), spesso durante lo sforzo.
Per confermare l’ipotesi diagnostica, una volta effettuata la visita cardiologica, l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma, si effettuano altre indagini: esami ematochimici, ECG dinamico per 48 ore consecutive, test da sforzo o test cardiorespiratorio, risonanza Magnetica con mezzo di contrasto.
Questi accertamenti consentono di valutare la gravità della cardiopatia e il rischio potenziale di complicanze.
A questi dati si aggiungono le informazioni fornite dall’esame genetico ( effettuato con il consenso del paziente dopo la consulenza genetica ).
Una volta posta la diagnosi, i parenti di I grado del paziente ( genitori, fratelli o sorelle, figli ) vengono invitati a eseguire gli esami di base ( esame fisico, elettrocardiogramma ed ecocardiogramma ) in modo da valutare se anche alcuni tra loro presentino segni di cardiomiopatia ipertrofica.
Quando la mutazione genetica responsabile è stata identificata nel paziente viene ricercata anche nei familiari di I grado.
Il contributo della diagnostica molecolare ( ossia della identificazione del difetto genetico che causa la malattia nella famiglia ) è importante per le diagnosi precoce. Essa permette infatti di identificare i familiari portatori della mutazione genetica responsabile della malattia prima che compaiano sintomi, e quindi di seguirli con visite periodiche.
Al momento non esiste una cura che guarisca la cardiomiopatia ipertrofica, tuttavia esistono terapie per migliorare i sintomi e prevenire le eventuali complicanze.
I farmaci più utilizzati nei pazienti sono i beta-bloccanti, i calcioantagonisti e gli anticoagulanti, più raramente l’Amiodarone, la Disopiramide e, in caso di scompenso cardiaco, i diuretici e, in casi particolari, gli ACE-inibitori.
Circa il 30% dei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica presenta già a riposo una ostruzione al tratto d’efflusso ventricolare sinistro che può essere valutata e misurata con l’ecografia ColorDoppler.
L’ipertrofia del setto interventricolare, unita allo spostamento in avanti dell’apparato valvolare mitralico, riduce la dimensione della zona di passaggio tra ventricolo sinistro ed aorta, così da rendere necessaria una pressione più elevata per espellere il sangue dal ventricolo verso l’aorta.
L’ostruzione può essere assente a riposo ma presentarsi durante sforzo in un ulteriore 30% dei pazienti, e questo fenomeno può essere valutato con l’esame ecocardiografico ColorDoppler eseguito durante test da sforzo.
Se l’ostruzione è grave e causa sintomi importanti ( capogiro, svenimenti, dolore toracico ), può essere indicata la sua riduzione, che si effettua solitamente con un intervento cardiochirurgico ( miectomia ).
Nella maggior parte dei casi la cardiomiopatia ipertrofica è una cardiopatia benigna, con una stabilità di sintomi e della stessa ipertrofia nelle decadi successive alla diagnosi.
Tuttavia, nel corso degli anni circa il 20% dei pazienti può presentare un peggioramento dei sintomi e complicanze come aritmie, atriali e ventricolari, oppure sincope. ( Xagena_2018 )
Fonte: Istituto Auxologico Italiano, 2018
Xagena_Medicina_2018