Intervento coronarico percutaneo primario nell’infarto miocardico con sopraslivellamento ST complicato da arresto cardiaco
Tre quarti della mortalità delle sindromi coronariche acute si concentra nella fase preospedaliera, probabilmente dovuta a morte cardiaca improvvisa.
Ci sono dati limitati sull’esito dei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento ST ( STEMI ) ed arresto cardiaco extraospedaliero ( OHCA ) trattati con angioplastica primaria ( PPCI ), a causa della loro esclusione dagli studi clinici interventistici e dai registri in relazione alla loro bassa sopravvivenza.
Le lineeguida ESC 2012 sull’infarto STEMI raccomandano il trattamento con angioplastica primaria dei pazienti STEMI con arresto cardiaco extraospedaliero.
Sono stati analizzati in modo retrospettivo i dati dei pazienti arruolati nel Registro della angioplastica primaria del Centro degli Ospedali Riunti di Trieste ( Italia ) dal 2003 al 2012.
La popolazione è stata suddivisa in due gruppi: i pazienti con infarto STEMI e quelli con infarto STEMI e arresto cardiaco extra-ospedaliero. Questi ultimi a loro volta sono stati distinti in comatosi e non-comatosi e con arresto cardiaco extraospedaliero antecedente ( strettamente extraospedaliero, OH ) o successivo ( intraospedaliero, IH ) alla chiamata del 118/arrivo in Pronto Soccorso.
Dal 2003 al 2012 sono stati trattati con angiolplastica primaria 1289 pazienti consecutivi con infarto STEMI. Il 6.4% ( n=82 ) presentava un arresto cardiaco all’esordio, strettamente extraospedaliero nel 63.4% ( n=52 ), da cui emergeva in stato comatoso il 65.8% ( n=54 ) e per ciò trattato con ipotermia nel 43% dei casi.
L’arresto era causato da un ritmo defibrillabile nel 95% dei pazienti.
Il gruppo infarto STEMI – arresto cardiaco rispetto al gruppo infarto STEMI era tendenzialmente più giovane ( mediana 62 vs 67 anni, p inferiore a 0.001 ), emodinamicamente più instabile ( PAS 116±31 vs 132±28 mmHg, p inferiore a 0.001; FC 84±20 vs 74±18 b/min, p inferiore a 0.001; FEVS 46±12 vs 51±10%, p=0.005; TIMI index 31±1 vs 26±16, p=0.007; classe Killip 3-4: 33% vs 10%, p inferiore a 0.001 ), con lesione culprit più frequentemente discendente anteriore ( 66 vs 47%, p=0.002 ) e tronco comune ( 4 vs 0.7%, p=0.02 ).
I pazienti infarto STEMI – arresto cardiaco hanno dimostrato una mortalità significativamente maggiore nel breve, medio e lungo termine ( 20 vs 6%, 21 vs 7% e 31.7 vs 10.5% nel lungo ), concentrando gli eventi nel gruppo comatoso ( 30 vs 0%, 32 vs 0%, 37 vs 28%; p inferiore a 0.001 ) e quello con arresto più strettamente extra-ospedaliero.
La presenza di shock era associata a un esito peggiore sia nell’infarto STEMI che nell’indarto STEMI – arresto cardiaco ( HR=3.775, p inferiore a 0.001 ).
All’analisi multivariata i predittori indipendenti di mortalità risultavano essere l’età ( HR=1.06; IC 95% 1.039-1.091; p inferiore a 0.001 ), l’insufficienza renale cronica ( HR=1.81; IC 95% 1.15-2.86; p=0.010 ), la disfunzione ventricolare sinistra moderato-grave ( HR=2.64; IC 95% 1.61-4.33; p=0.001 ), la classe Killip 4 ( HR=3.77; IC 95% 2.24-6.31; p inferiore a 0.001 ).
In conclusione, la casistica presentata ha confermato che i pazienti con infarto STEMI con arresto cardiaco extrasospedaliero all’esordio e trattati con intervento coronarico percutaneo primario presentano rispetto gli altri STEMI una mortalità a breve, medio e lungo termine più elevata, eccetto i casi di shock, condizione che annulla la differenza tra i due gruppi.
Tuttavia il sottogruppo dei non-comatosi e quello con arresto cardiaco successivo alla chiamata del 118 / arrivo in Pronto Soccorso, hanno un esito a breve-medio termine migliore, simile agli altri infarti STEMI. ( Xagena_2014 )
Santangelo S et al, G Ital Cardiol 2014; 15: Suppl 2 al N 4
Cardio2014