Relazione tra scompenso cardiaco cronico e deficienza di ferro
Riveste notevole importanza la valutazione di routine e il trattamento della deficineza di ferro nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica.
Attualmente, i livelli di ferro sono presi in considerazione solo dopo il riscontro di anemia nei pazienti con insufficienza cardiaca congestizia.
Tuttavia, la deficienza di ferro nello scompenso cardiaco può non essere necessariamente correlata all’anemia.
E’ noto che il ferro svolge un ruolo chiave nell’omeostasi umana; è essenziale per la crescita ed è richiesto per l’eritropoiesi, il trasporto e accumulo di ossigeno, il metabolismo ossidativo nei muscoli scheletrici e cardiaci, e nella sintesi e degradazione dei lipidi, carboidrati, DNA e RNA.
La deficienza di ferro è un comune disordine nutrizionale che interessa più di un terzo della popolazione e complica le malattie croniche come la malattia intestinale infiammatoria, la malattia di Parkinson, e l’artrite reumatoide.
Tradizionalmente la deficienza di ferro è stata associata alla presenza di anemia nello scompenso cardiaco congestizio, con una prevalenza del 20-70% tra tutti i pazienti con insufficienza cardiaca.
Uno studio di Ewa Jankowska, alla Wroclaw Medical University in Polonia, che aveva come obiettivo quello di esaminare lo stato del ferro in 546 pazienti con scompenso cardiaco, ha riscontrato deficienza di ferro tra i soggetti con e senza anemia.
In generale, il 37% delle persone ha manifestato deficienza di ferro, il 57% di quelli con anemia e il 32% senza.
L studio ha inoltre mostrato che la deficienza di ferro era un determinante chiave di outcome dopo un follow-up medio di 2 anni; la deficienza di ferro, ma non l’anemia, era correlata ad un aumentato rischio di mortalità o di trapianto cardiaco ( hazard ratio corretto, HR=1.58; p<0.01 ).
Lo studio FAIR-HF ( Ferinject Assessment in Patients with Iron Deficiency and Chronic Heart Failure ) aveva mostrato che la terapia endovenosa a base di Ferro, somministrata a pazienti con scompenso cardiaco aveva la capacità di migliorare la capacità funzionale, la tolleranza all’esercizio e la qualità di vita.
Nello studio 459 pazienti in classe NYHA II/III sono stati assegnati in modo casuale a Ferro per via endovenosa ( 200 mg ev nella fase di correzione, seguita da 200 mg ev di Ferro ogni 4 settimane nella fase di mantenimento ) ( n=304 ) oppure placebo ( n=155 ). E’ stato osservato che tra i pazienti trattati per via endovenosa con Ferro, il 50% è andato incontro a un miglioramento nel punteggio PGA ( Patient Global Assessment ) auto-riportato, rispetto al 28% di coloro che avevano ricevuto placebo ( p<0.0001 ).
Alla 24.a settimana, tra i pazienti assegnati al trattamento con Ferro, il 47% aveva una classe funzionale HYHA I o II in confronto al 30% assegnato al placebo ( p<0.0001 ).
Inoltre, dopo 24 settimane, i pazienti riceventi Ferro per via endovenosa erano in grado di percorrere 39 metri oltre al basale nel test del cammino di 6 minuti, rispetto ai 9 metri dei soggetti nel gruppo placebo ( p<0,001 ).
La mortalità e l’incidenza di eventi avversi, tra cui l’ospedalizzazione, sono risultate simili tra i gruppi. ( Xagena_2010 )
Fonte: European Society of Cardiology Meeting, 2010
Link: MedicinaNews.it
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