Intervento invasivo precoce versus ritardato nelle sindromi coronariche acute
Recenti studi clinici hanno dimostrato che una strategia invasiva di routine migliora gli esiti in pazienti con sindromi coronariche acute senza innalzamanto del segmento ST; tuttavia le tempistiche ottimali di tale intervento non sono ancora state chiarite.
Un totale di 3.031 pazienti con sindromi coronariche acute sono stati assegnati in modo casuale a essere sottoposti a intervento precoce di routine ( angiografia coronarica entro 24 ore dalla randomizzazione ) o a intervento ritardato ( angiografia coronarica 36 ore o più dopo la randomizzazione ).
L’esito primario composito era costituito da mortalità, infarto del miocardio o ictus a 6 mesi. Un pre-specificato esito secondario era rappresentato da morte, infarto del miocardio o ischemia refrattaria a 6 mesi.
L’angiografia coronarica è stata effettuata nel 97.6% dei pazienti nel gruppo con intervento precoce ( tempo medio 14 ore ) e nel 95.7% dei soggetti nel gruppo con intervento ritardato ( tempo medio 50 ore ).
A 6 mesi l’esito primario si è verificato nel 9.6% dei pazienti nel gruppo con intervento precoce rispetto all’11.3% nel gruppo con intervento ritardato ( hazard ratio, HR, nel gruppo con intervento precoce 0.85; P=0.15 ).
Si è constatata una riduzione relativa del 28% nell’esito secondario di morte, infarto del miocardio o ischemia refrattaria nel gruppo a intervento precoce ( 9.5% ) rispetto al gruppo a intervento ritardato ( 12.9% ) ( HR=0.72; P=0.003 ).
Analisi pre-specificate hanno mostrato che l’intervento precoce migliora l’esito primario nel terzo dei pazienti a più alto rischio ( HR=0.65 ) ma non nei due terzi a rischio basso e intermedio ( HR=1.12; P=0.01 per l’eterogeneità ).
In conclusione, l’intervento precoce non si è mostrato dissimile da quello ritardato nel prevenire l’esito primario, ma ha ridotto il tasso di esito secondario composito di morte, infarto del miocardio o ischemia refrattaria, e si è inoltre dimostrato migliore dell’intervento ritardato nei pazienti ad alto rischio. ( Xagena_2009 )
Mehta SR et al, N Engl J Med 2009; 360: 2165-2175
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Cardio2009