I pazienti con valvulopatia associata a malattia coronarica ( CAD ) presentano una prognosi a breve termine severa. Nonostante le lineeguida raccomandino l’intervento tradizionale di chirurgia valvolare più CABG ( bypass coronarico ), quest’ultimo garantisce benefici limitati ed è gravato da maggiori complicanze a breve termine.
Recentemente sono state proposte tecniche percutanee ( tecniche ibride o PCI [ intervento coronarico percutaneo ] più TAVI [ impianto valvolare aortico transcatetere ] ), finalizzate alla riduzione di durata ed invasività degli interventi, con risultati promettenti.
L’obiettivo di uno studio è stato quello di confrontare gli esiti delle nuove tecniche interventistiche con la chirurgia tradizionale e valutare l’accuratezza dei punteggi di stratificazione del rischio in queste strategie.
Sono stati arruolatu tutti i pazienti afferenti al Centro Cardiologico Monzino di Milano ( Italia ) nel periodo 2011-2012 con un’indicazione al trattamento chirurgico di valvulopatia e malattia coronarica.
Tutti i casi sono stati discussi con l’Heart Team, che ha poi indirizzato i pazienti a un trattamento tradizionale di chirurgia valvolare associato a CABG ( gruppo 1 ), PCI più chirurgia valvolare ( gruppo 2 ) o PCI più TAVI ( gruppo 3 ).
Di ogni gruppo sono stati analizzati il profilo clinico, i rischi a breve termine ( EuroSCORE e STS Score ), le variabili operatorie ( in particolare i tempi di circolazione extracorporea [ CEC ] e clampaggio aortico ) e l’incidenza di MACE [ eventi avversi cardiaci maggiori ].
Infine, è stato fissato un endpoint combinato, rappresentato dall’evenienza di almeno una complicanza maggiore.
Sono stati arruolati 211 pazienti: 155 pazienti sono stati sottoposti a chirurgia valvolare più CABG ( G1 ), 21 pazienti PCI più chirurgia valvolare ( G2 ); 35 pazienti PCI più TAVI ( G3 ).
Il rischio operatorio valutato con EuroSCORE e STS Score, simile nei primi due gruppi, è risultato significativamente maggiore nel Gruppo 3.
Il numero di vasi trattati è stato 1.54 nel Gruppo 1, 1.19 nel Gruppo 2, 1.17 nel Gruppo 3; la rivascolarizzazione è stata completa rispettivamente nel 70.97%, 71.43% e 78.57% dei pazienti.
Il ricorso all’intervento coronarico percutaneo ha permesso di ridurre i tempi operatori di 30’ e l’incidenza dei MACE.
Il rischio emorragico, che secondo la letteratura graverebbe maggiormente sui pazienti sottoposti a PCI, è invece risultato significativamente inferiore proprio in questi ultimi, rispetto ai soggetti trattati con bypass coronarico.
Il rischio globale di sviluppare un MACE è stato ridotto di circa il 70% nei Gruppi 2 e 3 rispetto al Gruppo 1. ( Xagena_2014 )
Teruzzi G et al, G Ital Cardiol 2014; 15: Suppl 2 al N 4
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