Il consumo di acqua potabile con presenza di Arsenico è correlato ad aumento della mortalità cardiovascolare
Il consumo di Arsenico attraverso l'acqua potabile è associato a un aumentato rischio di mortalità cardiovascolare, rischio particolarmente elevato tra i fumatori.
Inoltre, uno studio, condotto in Bangladesh, ha anche individuato una relazione dose-risposta, nel senso che anche l'esposizione a livelli moderati di Arsenico può provocare un aumento del rischio di mortalità cardiovascolare.
Uno studio ha valutato l'associazione tra esposizione all'Arsenico e mortalità cardiovascolare.
Sono stati studiati 11.746 uomini e donne che sono stati seguiti in media per 6.6 anni.
Durante il periodo osservazionale, 198 persone sono decedute per malattie cardiovascolari, con un tasso di 214.3 persone su 100.000 per anno.
Al basale, erano stati valutati per il contenuto di Arsenico 5.966 campioni di acqua da pozzi nell'area di studio; l'esposizione individuale all'Arsenico è stata valutata anche da campioni di urina al basale.
È stata riportata una chiara relazione dose-risposta tra l'esposizione all’Arsenico in acque di pozzo e successiva mortalità cardiovascolare. Rispetto ai livelli di Arsenico nel quartile inferiore ( 0.1-12.0 mg/l ), il rapporto tra i tassi ( rate ratio ) aggiustato era di 1.22, 1.35, e 1.92 per quartili crescenti di concentrazione di Arsenico.
Un simile profilo è stato osservato quando l'esposizione all'Arsenico è stata valutata da campioni di urina.
C'è stata, inoltre, un’interazione sinergica tra fumo di sigaretta ed esposizione all'Arsenico sul rischio di mortalità cardiovascolare.
Rispetto ai non-fumatori con bassi livelli di esposizione all'Arsenico, il rapporto tra i tassi era 1.53 per i non-fumatori con alta esposizione, 1.50 per i fumatori con bassa esposizione, 3.28 per i fumatori con moderata esposizione e 3.45 per i fumatori con alta esposizione.
Evidenze in vitro suggeriscono che l'Arsenico promuove l'attività infiammatoria e il rimodellamento delle cellule endoteliali. ( Xagena_2011 )
Fonte: British Medical Journal, 2011
Link: MedicinaNews.it
Cardio2011